Deus intelligit et non credit
Il concetto di Aldilà oltre gli oceani del tempo: “la civiltà etrusca”
Il concetto di Aldilà oltre gli oceani del tempo: “la civiltà etrusca”

Il concetto di Aldilà oltre gli oceani del tempo: “la civiltà etrusca”

Qual era la concezione che dell’Aldilà aveva l’antico popolo degli Etruschi?

Questa è la domanda alla quale cercheremo di fornire una puntuale risposta nel corso di questo nostro lavoro, che ci auguriamo riesca, oltre che a catturare la vostra attenzione, anche a fornirvi un quadro relativamente esaustivo e, contestualmente, capace di suscitare in voi il desiderio di approfondire ulteriormente l’argomento.

Prima di iniziare, però, ci preme chiarire il perché di questo nostro articolo, che speriamo possa inaugurare un nuovo filone nell’ambito delle discussioni da noi affrontate nel nostro sito web. Potremmo fornirvi una spiegazione alquanto articolata e ricca di svariati elementi motivazionali, ma preferiamo essere semplici e diretti. Un tema ricorrente, addirittura dominante, e che accomuna, fondamentalmente, tutti i popoli dell’antichità (solo a titolo d’esempio, possiamo menzionare i Sumeri, gli Assiri, i Babilonesi, gli Egiziani, i Greci, i Romani e, ovviamente, gli Etruschi), è l’attenzione riservata alla religione ed al lato spirituale dell’esistenza, con un particolare interesse a ciò che riguarda l’Oltretomba. Ebbene, oggi come ieri questa stessa tematica occupa una posizione altrettanto centrale nell’ambito della nostra esistenza, checché se ne dica. Sarà dunque molto interessante ripercorrere insieme alcuni tratti delle civiltà del passato per poterci poi rivolgere al nostro contesto attuale, forse con una consapevolezza diversa dopo aver attinto alle sorgenti della nostra civiltà.

Ora possiamo iniziare il nostro viaggio indietro nel tempo!

Innanzitutto, ci preme ricordare che l’usanza di scavare complesse necropoli monumentali nel sottosuolo fu iniziata proprio dagli Etruschi. Infatti prima di loro, in Italia, i morti venivano inceneriti e le loro ceneri erano sepolte, solitamente in una esigua buca nel terreno.

Il mondo del sottosuolo, gli Inferi, per gli antichi corrispondeva al grembo di Madre-Terra e all’Oltretomba. In quel mondo si riteneva si recassero le anime dei defunti per giungere al cospetto delle divinità. I sovrani del reame infero erano una coppia divina: Ade e Persefone, denominati, nella lingua etrusca, Aita e Phersipnai. L’annuale ritorno di Persefone sulla terra, tra i viventi, coincideva con l’inizio della primavera e, in tale occasione, venivano celebrati i “Piccoli Misteri”. I “Grandi Misteri”, invece, erano celebrati a settembre e ricordavano la scomparsa della dea, che discendeva nuovamente nel regno di Ade.

L’intero ciclo simbolico e mitico dei Misteri ruotava intorno al grande mistero della morte e della rinascita. Il principale motivo misterico riguardava l’anima che, attraverso un particolare processo rituale di morte e rinascita, poteva aspirare all’immortalità, dando un superiore significato alla condizione umana, equiparata alla vita divina di déi ed eroi. In questa concezione dell’anima e del suo possibile “risveglio” era racchiusa l’essenza del grande mistero sacro che, ripreso in seguito, ad esempio, da Pitagora, ritroviamo nel cuore del Cristianesimo (un altro aspetto, sicuramente interessante ed in comune con il Cristianesimo, lo ritroviamo nell’iscrizione di Samotracia, dove è ricordata l’usanza praticata dal sacerdote di Cibele di spezzare un pane consacrato e di offrire una bevanda sacra alla persona da iniziare).

Secondo un’idea diffusa nelle antiche terre mediterranee, agli esseri umani non sarebbe appartenuto un solo “Io”, piuttosto un insieme di differenti “Io”. L’essere umano era concepito quale somma di tre principali identità, o “corpi”: il corpo fisico, l’ombra e il demone, o doppio.

Al momento della morte sarebbe avvenuta una separazione delle parti: il corpo fisico decadeva ed era riassorbito dalla terra, mentre veniva rilasciata un’”ombra”, destinata ad un’effimera esistenza nell’Oltretomba o, eventualmente, a rinascere ancora, ma dopo aver bevuto alla “fonte dell’oblio”; il terzo elemento, il demone, per gli antichi Romani era a sua volta composto da varie parti, chiamate Lari (Lares) e Mani (Manes). I Mani erano due per ciascun individuo, uno benefico e l’altro malefico. Con Lare si designava, poi, un’entità collettiva di natura divina.

L’anima, alla morte, sarebbe ritornata presso il proprio Lare, il ceppo originario la cui sede era collocata nel sottosuolo della Madre-Terra. Gli uomini avrebbero avuto, però, la possibilità di un diverso destino. Coloro che avevano riconosciuto il proprio demone, Lare o Mane, e lo avevano trasceso, potevano avere un’anima immortale e godere della stessa vita degli déi, degli eroi e degli iniziati ai Misteri. Per gli altri era inevitabile il continuo re-immettersi nel ciclo della ricorrenza vita-morte-rinascita come inconsapevoli ombre, ignare della trasmigrazione che avevano vissuto.

E’ probabile che il termine etrusco Larth sia all’origine del latino Lares. Il Larth etrusco era il re-sacro, la prima autorità cui ubbidivano i dodici Lucumoni e cui spettava il potere supremo. Il culto degli antenati (Lari), le cui anime vivevano nel sottosuolo al cospetto degli déi della terra, divenne il principale culto degli Etruschi e dei Romani. Conseguenza diretta fu l’edificazione di vaste e monumentali città dei morti, le necropoli, realizzate secondo una concezione magica: le forze di cielo e terra si univano in una magica congiunzione che permetteva all’anima del defunto di compiere adeguatamente il suo lungo viaggio. Le necropoli erano frequentate assiduamente e vi si svolgevano, infatti, banchetti accompagnati da musiche, danze e rituali, con offerte per i morti e per le divinità (latte, miele, vino ed altro ancora erano versati sulla terra, sui cippi e sulle are).

Gli antichi ritenevano che nell’esperienza della morte vi fosse un fondamentale problema di “distacco”: la parte terrena di un individuo, la sua “ombra”, poteva ostacolare l’anima nella difficile separazione dal corpo fisico. Gli oggetti funerari, così come gli incredibili affreschi nelle tombe, avevano, quindi, proprio lo scopo di attrarre l’ombra e far sì che lasciasse la sua presa sull’anima spirituale. Un’interessante raffigurazione dell’ombra la si ritrova nei celebri bronzetti etruschi chiamati “ombre della sera”: esili e oblunghe figure dai tratti adolescenziali, evanescenti e gravi.

Tra le divinità del pantheon etrusco, vale la pena ricordare la giovane dea Vanth (ispirata alla Moira greca). Aveva grandi ali, una fiaccola per illuminare l’oscurità mentre accompagnava le anime nel difficile passaggio nell’Aldilà, e simboleggiava il destino, il fato implacabile. Su di lei non si sa molto di più, oltre al fatto che avesse il ruolo di “accompagnatrice di anime” (per i Romani questo compito era affidato a Mercurio, Hermes “psicopompo” per i Greci).

Mostruosi personaggi raffigurati spesso nei sepolcri etruschi, con la funzione  di sorvegliare e proteggere il sepolcro, erano:

  • il demone Charun (il greco Caronte), che era un umanoide semibestiale armato di martello;
  • l’orrido Tuchulcha, che aveva il viso d’avvoltoio, orecchie d’asino e utilizzava i serpenti come armi offensive.

Preziose rappresentazioni dell’Oltretomba etrusco sono arrivate sino a noi grazie alle tombe di Tarquinia. Tra i vari, vogliamo ricordare in particolare due ipogei che, a nostro avviso, meglio possono fornirci informazioni utili alla nostra trattazione.

Tomba dei Caronti

“La Porta” (“Tomba dei Caronti”, Necropoli etrusca di Tarquinia. Usata Nikon D-70 con zoom Nikon 50-70mm, 2011)Scoperta nel 1960, questa tomba costituisce un ottimo esempio di ipogeo ellenistico del tipo “a due livelli e con vestibolo”: il vano superiore (vestibolo), utilizzato per le cerimonie di culto, e le due camere funerarie (poste ad un livello più basso) accessibili con scale che partono dal pavimento del vestibolo stesso. Sulle pareti di fondo e di destra del vestibolo sono raffigurate due finte porte (simbolico ingresso dell’Aldilà), con i dettagli dell’intelaiatura lignea e delle borchie metalliche.

Ciascuna delle porte ha ai lati due Caronti alati, demoni etruschi della morte, custodi dell’Ade, vestiti di corti gonnellini e con diversi accessori: martelli, asce e serpenti. Accanto ad ogni figura, un’iscrizione dipinta indica il nome del demone Caronte accompagnato da un diverso appellativo che, evidentemente, ne distingueva la particolare funzione, purtroppo a noi non nota.

Tomba 5636

“Davanti alla Soglia” (“Tomba 5636”, Necropoli etrusca di Tarquinia. Usata Nikon D-70 con zoom Nikon 50-70mm, 2011)Questo sepolcro risale alla seconda metà del III secolo a.C. e presenta notevoli diversità con quelli di epoca precedente. Il soffitto è piatto e non a spiovente, e la parte pittorica è limitata alla sola parete di destra ed al pilastro centrale (qui è raffigurato un Caronte alato). Sulla parete laterale è presente una scena di particolare interesse: un defunto si prepara a varcare la porta dell’Aldilà, accompagnato dalla dea Vanth che, con la mano destra sulla sua spalla sinistra, con l’altra mano impugna una torcia; la porta è custodita da Caronte che sta seduto, e al centro della scena si trovano due uomini ed un bambino, forse parenti morti in precedenza, rappresentati nell’atto di accogliere il defunto e di indicargli la direzione della porta dell’Aldilà.

Qualche riflessione

Oltre alle due somiglianze, già indicate nel corso della trattazione, tra mondo etrusco e Cristianesimo (“risveglio” dell’anima; celebrazione con pane spezzato e bevanda sacra offerta all’iniziato), riteniamo interessante soffermarci su un altro aspetto per il quale esistono evidenti affinità, lasciando a voi, invece, possibili riflessioni sulle altre somiglianze che abbiate potuto cogliere.

Ebbene, a quale aspetto ci stiamo riferendo?

L’Aldilà è un luogo nettamente separato dal nostro mondo ed i demoni etruschi, che si trovano a guardia del suo accesso, ce ne danno un’immagine decisamente eloquente. Anche per noi i due mondi sono ben distinti e separati, sebbene possano entrare, in determinate circostanze, parzialmente e temporaneamente in contatto. Stiamo pensando infatti, oltre che alle Esperienze di Pre-Morte, durante le quali il mondo dell’Aldilà o, più spesso, del pre-Aldilà è meta di un breve viaggio da parte di chi è stato dato praticamente per morto e che, invece, ritorna poi in vita, anche alle numerose testimonianza di persone che, anch’esse in prossimità della morte, dichiarano di essere state visitate dai loro cari defunti. Ebbene, in entrambe queste casistiche la soglia tra i due mondi può divenire un luogo privilegiato per l’incontro con coloro che ci hanno preceduto; in alcuni casi, i nostri cari sopraggiungono per accompagnarci nella fase di passaggio, in altri essi vengono per fermarci e spingerci a tornare indietro. Tutto questo lo possiamo ritrovare, in un’ottima sintesi per immagini, nella raffigurazione della già menzionata tomba 5636 di Tarquinia. In essa, infatti, possiamo cogliere proprio questa duplice tipologia di esperienza, nella quale l’incontro con i nostri antenati avviene in prossimità della porta del mondo dell’Oltretomba, sorvegliata dal demone Caronte. L’anima del defunto è accompagnata dalla dea Vanth, munita di torcia, ma è certamente l’incontro con i suoi cari a “illuminare” il momento del suo passaggio.

E.A. – V.G.

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