Fiano Romano, 4 ottobre 1982. Padre Atanasio, frate minore francescano sui quarantaquattro anni, era noto negli ambienti romani, ecclesiastici e non, per la sua profonda cultura e grande capacità oratoria. Mettendo da parte i numerosi impegni già in agenda, aveva alla fine accettato l’invito – non avrebbe neanche lui saputo spiegare bene il perché – a tenere una lectio magistralis sul Castello interiore di Santa Teresa d’Avila, a chiusura della conferenza organizzata a Fiano per il 400° anniversario della morte della Santa spagnola.
Essendo arrivato con un buon anticipo, come d’altronde era sua abitudine fare agli appuntamenti importanti, accettò volentieri la proposta di visitare il castello ducale, presso il quale era ospitato l’evento. Erano solo in quattro a partecipare, compresa la funzionaria del comune che per l’occasione faceva da guida, e durante la breve visita gli capitò, però, uno strano fenomeno. Apparentemente, tra l’agitazione dei presenti, e in particolare dell’accompagnatrice, Padre Atanasio ebbe una sorta di collasso, ma in realtà la sua coscienza in un primo momento si assopì e subito dopo si ridestò in quello stesso luogo, sebbene in un altro tempo. La tipologia di arredi che si trovò davanti, infatti, lo convinse di essere stato catapultato alla fine del ‘400. Nel breve lasso temporale di quella esperienza – durò di fatto una ventina di secondi, che a lui parvero essere parecchi minuti – ebbe modo di intravedere una bellissima donna, dal volto colmo di un indicibile dolore.
Padre Atanasio, al quale saltuariamente capitavano esperienze un po’ particolari, una volta ripresosi non diede più di tanto importanza alla cosa. Poi però, quella sera, al termine dell’affollata conferenza sulle stanze di Santa Teresa, prese la parola una donna molto strana. «Reverendo, io sono di un’altra parrocchia – si fa per dire – ma questa sera lei mi ha toccato profondamente e mi ha aperto un varco nell’anima. Sicuramente, però, lei non sa che circa cinque secoli fa, proprio in questi luoghi, una donna meravigliosa – Bellezza – venne processata ingiustamente da gente della vostra parrocchia e fu spinta a togliersi la vita per non essere arsa viva!» Nella sala scesero un gelo ed un silenzio assoluti. «Bene, bene!» tagliò corto il professor Cecioni, volendo stroncare ogni tipo di dibattito. «L’ora è tarda e Padre Atanasio deve tornare a Roma, perché domani – me l’ha confidato poco prima dell’inizio della conferenza – dovrà intervenire ad un incontro in Vaticano, nel quale si affronterà la possibilità di abolire la necessità dei miracoli nel processo di canonizzazione dei Santi, questione da far tremare i polsi!» concluse con enfasi, rallentando appositamente il discorso. «Ma che gli importa a questo della mia salute?» pensò tra sé e sé Padre Atanasio.
Poco più tardi, terminato l’incontro, Atanasio stava dirigendosi, con passo piuttosto rapido, alla sua automobile, quando lo raggiunse, un po’ ansimante, il professor Cecioni: «Padre mio, mi scusi per essere intervenuto prima a gamba tesa, ma quella là è Gaia Visconti, una strega, e in più bella e colta… Poi le spiego meglio al telefono, con un po’ di calma… Grazie mille per la meravigliosa conferenza».
Padre Atanasio, salutato calorosamente l’ospite, salì sulla sua Panda verde acqua e partì. Dopo la prima curva in direzione di Roma c’era uno spiazzo ed una macchina, parcheggiata in senso contrario, gli lampeggiò. Il frate sterzò e si fermò nella piazzola. L’altra automobile gli si affiancò e il finestrino venne abbassato. Anche Padre Atanasio abbassò il finestrino e – come aveva intuito – vide nell’auto Gaia Visconti. «Ammetta, Padre, che questa sera, quando ho parlato di Bellezza, l’ho spiazzata! Anche se non mi è sembrato stupito e per questo ho deciso di importunarla ora». Padre Atanasio, che non perdeva mai la sua calma olimpica, replicò: «Durante la breve visita che ho fatto stasera al castello, quando siamo scesi al piano inferiore – credo deputato all’antica prigione – sono entrato in uno stato modificato di coscienza e ho intravisto una bellissima donna sulla quarantina, con un abito di un’epoca lontana, una donna distrutta dal dolore… Credo che si riferisse a lei con il suo intervento di prima, cioè a Isabella Orsini, visto che Bellezza è sempre stato un diminutivo-vezzeggiativo di Isabella». La dottoressa Gaia Visconti, che sia per il cognome sia per la ricchezza, la cultura e la bellezza, si poneva sempre due metri sopra qualsiasi interlocutore, stavolta rimase come paralizzata.
«Padre Atanasio, chi sei? Parla!» alla fine ebbe solo la forza di dirgli. «Prima o poi parlerò, ma adesso – ti scongiuro – lascia perdere Margaret Murray… Il mio amico Gianfranco Nolli, curatore della sezione egizia dei Musei Vaticani, mi ha confermato che come egittologa non era malaccio, ma come antropologa era da mettersi le mani nelle corna! …ehem» si corresse ironico «…nei capelli». «Conosco benissimo i limiti della Murray» replicò Gaia «ma l’impianto di fondo…» «È un pianto!» tagliò autorevole Padre Atanasio. «E quando nella tua villa sentirai rumore di catene e vedrai terrificanti spettri, cercami e ti spiegherò tutto». «Ma Padre… già accade…» ammise Gaia. «Probabilmente queste cose avvengono nella tua cantina» disse Atanasio. «Il problema è il monossido d’azoto, proveniente dalle botti, che in piccole dosi crea allucinazioni uditive e visive, cara la mia dottoressa» concluse Padre Atanasio. Quindi, avviò il motore della sua Panda e ripartì, mentre la Visconti si era accasciata nella sua Jaguar, nera come quella del fumetto Diabolik.
Il giorno seguente, Padre Atanasio non riusciva a non pensare alla visione avuta a Fiano e, visto che era in Vaticano per quella discussione sulla necessità o meno dei miracoli nella canonizzazione, in dieci minuti riuscì ad incantare i membri della congregazione, grazie alla sua vasta esperienza ed al suo fascino indiscusso. Nessuno dei presenti replicò e non ci fu neppure bisogno della votazione. Il cardinale chiese, alla fine, che la questione non venisse neppure messa a verbale.
Uscito dalla sala dell’incontro, Atanasio si precipitò all’Archivio Segreto, vicino alla Biblioteca Vaticana. Per poter accedere, gli venne richiesta dall’addetto ai controlli una presentazione autorevole. Allora, siccome aveva fretta, si fece dare dall’uomo un foglio bianco ed una penna e scrisse: «Io, Padre Atanasio, chiedo che io stesso possa accedere all’Archivio Segreto senza alcuna limitazione». Poi aggiunse bonariamente all’addetto, rimasto attonito: «Se vuole un’ulteriore conferma, chiami pure il Papa o il Segretario di Stato». Una brevissima telefonata al prefetto dell’Archivio risolse alla fine tutti i problemi. Il religioso scese, ossequioso, in pochi minuti. «Carissimo Padre, perdoni il disguido. L’addetto è arrivato una settimana fa… Venga, venga che l’accompagno io». Grazie alla presenza del prefetto, Atanasio recuperò in meno di mezz’ora il dossier che riguardava il processo a Isabella Orsini di Angelo, Fiano 1528. «Le faccio fare subito il microfilm e la stampa rapida, Padre carissimo. E noi ci prendiamo un caffè su da me» propose, tutto entusiasta, il prefetto.
Tornato in convento col dossier, dopo un rapido pasto in refettorio Padre Atanasio si ritirò nella sua stanza e si mise subito a leggere il documento. Si rese ben conto, dopo non molto, della trappola perversa che l’inquisitore e il cancelliere-segretario avevano teso alla povera Isabella e ne rimase decisamente colpito. Quella notte il frate la trascorse in modo decisamente agitato, tra sogni frutto di rielaborazioni di quanto letto su quel dossier ma anche legati alla visione avuta a Fiano. La mattina seguente, Atanasio disdisse tutti gli impegni in agenda e, come pervaso da un fuoco divino, si diresse in auto fuori Roma con al seguito una piccola telecamera, un prototipo, deciso a visitare Ponzano, Collevecchio e Monterotondo.
All’inizio della salita per Ponzano fu colpito, guardando sulla sua sinistra, dal magnifico monastero di Sant’Andrea in Flumine. Gli tornò allora alla mente un vecchio ricordo di quando era studente alle superiori: la storia di quel luogo magico, collocato su un’ansa del Tevere, si intrecciava niente di meno che con la figura di Carlo Magno! Da Ponzano, inoltre, proveniva Lucia de Lorenzo de Ponzano, la presunta strega che aveva insegnato ad Isabella l’uso delle piante per curare diverse malattie. Visitare i vicoli di quel paesino gli lasciò una strana sensazione, che sarebbe durata alcuni giorni. Quando poi arrivò a Collevecchio, venne molto colpito da tutte quelle tracce degli Orsini ancora ben evidenti, ma soprattutto dal pensiero che quei luoghi avevano visto Isabella-bambina correre e poi Isabella-ragazza sposarsi.
Tra i vari incontri che fece, ci fu quello con un avvocato molto ferrato sulla storia locale, che non seppe però dargli alcuna notizia su Isabella, figlia naturale di Angelo Orsini. Nel primo pomeriggio si recò, infine, al palazzo Orsini di Monterotondo, sede del comune. Anche lì poté fare qualche ripresa, e questo grazie ad un provvidenziale sciopero della pubblica amministrazione. Mentre saliva e scendeva le scale – quasi tutti gli ambienti erano infatti accessibili, sebbene completamente deserti – che Bellezza Orsini aveva certamente percorso per portare da mangiare alla presunta strega Lucia de Ponzano, lì incarcerata, all’improvviso ebbe una nuova visione, molto intensa.
Come era già accaduto a Fiano, sentì le gambe cedergli e la testa girargli sempre più velocemente, finché non perse i sensi e crollò sul pavimento. Riaprì gli occhi e si ritrovò in quello stesso posto, ma in un altro tempo. Vide una rapida sequenza di scene scorrergli davanti: Isabella bellissima correva, sicura e sorridente, per quelle scale; poi curiosa e pensosa, andava e veniva dalla cella della saggia Lucia, che, ogni volta, le insegnava un nuovo segreto; infine Isabella, triste, sedeva ad un angolo e piangeva. Riprese coscienza quando ormai si era fatto buio. Sentì distintamente i passi di qualcuno che stava arrivando. Si trattava certamente del guardiano, che stava facendo l’ultimo giro prima di chiudere il portone principale. Si tirò su e uscì in fretta dal palazzo.
A Ponzano Atanasio aveva fatto alcune domande su Lucia, la strega, all’interno degli uffici comunali. Un’impiegata gli aveva risposto: «Non crederà mica che siamo discendenti di Lucia de Lorenzo!…» Atanasio rifletté: «Ma allora la conosceva… Come faceva a sapere, altrimenti, che era figlia di Lorenzo?» La donna gli aveva poi chiesto cosa stesse facendo lì e dove fosse diretto. Atanasio le aveva parlato della sua ricerca su Bellezza Orsini e le aveva detto che sarebbe andato, dopo Ponzano, a Collevecchio e infine a Monterotondo. Più tardi, mentre sulla sua Pandina stava uscendo dal traffico di Monterotondo, non poté fare a meno di notare la Jaguar nera di Gaia Visconti, che lo stava seguendo a breve distanza. Atanasio decise di accostare, per darle modo di affiancarsi alla sua auto. «Padre, questa volta la sequestro. C’è una cuoca in pensione, che cucina divinamente nella sua taverna… molto discreta…» Il frate, ancora un po’ scosso per la visione avuta poco prima nel castello e allo stesso tempo molto affamato – lo era sempre dopo le strane esperienze che talvolta gli capitavano – fece un cenno di assenso col capo.
«Buonasera Assunta!» esclamò Gaia, entrando con il frate nel piccolo locale. «Buonasera dottoressa e buonasera Padre» replicò Assunta, con un fare bonaccione. «Ma come hai fatto a capire?» le domandò Gaia, visto che il frate era in borghese. «Dottore’, ma l’hai visto bene? C’ha ‘no sguardo da re, da uno che nun vole gnente, che nun è servo de nessuno e che è padrone e signore del tempo!» spiegò la donna con somma semplicità.
La signora Assunta fece accomodare i due ospiti al suo tavolo migliore e cominciò a proporre i suoi piatti, tipici di diverse regioni. «Anche se c’è pasta e fagioli avanzata, per me va benissimo» disse alla fine Padre Atanasio. La signora Assunta, fino a quel punto così sicura di sé, sbiancò improvvisamente. «Dottore’, m’avete portato sciamani, stregoni, lama tibetani, dervisci e sufi, ma uno che me indovina la pasta e fascioli a la prima botta mai, dico mai m’era capitato!» «Ma forse ho sentito l’odore» spiegò candidamente Padre Atanasio. «A Padre coso! Ma quale odore, ch’ho fatto tutto da mi fija tre piani sopra, colle finestre chiuse che c’ha l’influenza! …Dottore’, io nun me impiccio e non ve vojo mancà de rispetto, ma chissu a voi ve se magna con boccone solu!» Gaia la prese a ridere e disse: «Per me un’insalatona cento fiori e acqua leggermente frizzante».
Quindi, Gaia iniziò a provocare Padre Atanasio sulle questioni più astruse e contorte, ma lui, con calma olimpica e risata omerica, rispondeva con una massa d’informazioni di prima mano, pertinenti e sovrabbondanti. Lei cominciò, allora, ad arrancare e divenne improvvisamente aggressiva e offensiva, ma lui, con indifferenza ignaziana, reggeva tutto, come un leone reggerebbe una lucertola nevrotica. Alla fine Gaia, esasperata, giocò l’ultima carta a sua disposizione: «Stolto frate, ma non hai capito che io sono una strega, pratico la magia nera e potrei avvelenarti!?!» «Figlietta mia, stai tranquilla. Ti sei accorta che, dietro quel trucco da Samantha, hai due occhi da cerbiatta impaurita?!» Gaia, completamente isterica, tirò fuori una bacchetta magica e, puntandola contro di lui, recitò una maledizione in latino. Padre Atanasio, ridendo bonariamente, precisò: «Questa l’hai imparata sul Libro del comando delle edizioni Alce Nero. È un vecchio esorcismo rielaborato e pieno di errori, perché i curatori non conoscono la quarta declinazione!» Fu a quel punto che Gaia, totalmente in tilt, svenne di colpo, accasciandosi sulla sedia. Padre Atanasio allora, spinto da spirito paterno, la prese e la distese sul divano lì a fianco, come fosse una bambina.
La signora Assunta, che dalla stanza vicina aveva seguito tutta la scena, cominciò a dire: «Ma santo Padre benedetto, che j’avete fatto, ‘na contro fattura Voodoo? Questa insegna antropologia curturale alla Sapienza e, ogni volta che c’è quella festa colle zucchine giganti illuminate o la befana, tutti a intervistalla… Però coll’omini è tanto sfortunata… Pare che quanno stanno co’ lei, se blocca tutta la cosa idraulica… Abita a Fiano dentro ‘na villa da favola e quanno che viene da me, me lascia mance da Grand Hotel… Padre mio, me ricordi nella Santa Messa co’ mi fija Marina, er marito Mario e la regazzina Melissa. Er nome je l’ha consigliato la dottoressa, ma lu prete l’ha battezzata Maria Melissa, co’ la faccia schifata!» Padre Atanasio, che non voleva assolutamente mettere in imbarazzo Gaia, regalò ad Assunta la busta – non l’aveva neppure aperta – ricevuta a Fiano per la conferenza e conservata nel portafogli. Prima di uscire dalla locanda, chiese ad Assunta di salutare e ringraziare per suo conto la dottoressa Visconti.
Poco dopo Gaia aprì gli occhi, confusa, e la signora Assunta, che alternava italiano, dialetto locale, reatino e romanesco, la informò: «Dottoressa mia, se n’è itu e m’ha datu ‘na busta chiusa. Ha dittu: “Spero che basti!…” Guardi, Fiano, Associazione culturale, etc., etc… Dottoressa mia, conosco li cappuccini de qua e Padre Paolino, che è ‘nu santu, ma Padre Atanasio è de n’antra natura…» «Purtroppo me ne sto accorgendo» la interruppe Gaia, decisamente preoccupata. «Quello mi ha fregato alla grande e non riesco a capire né come abbia fatto né chi sia davvero!»
Gaia tornò nella sua lussuosa e misteriosa Villa Luna, dove l’accolsero i fedeli giganteschi alani neri. La coppia di inservienti giapponesi era fuori per il riposo settimanale e solo il gatto Rasputin, di colore rosso fuoco, era in casa a farle compagnia. Ormai aveva 35 anni e il non aver mai trovato un compagno alla sua altezza la amareggiava molto. Si sentiva una valchiria senza nessun Sigfrido, solo dei simil-Hitler, uno più cretino dell’altro. Un tempo, aveva creduto di aver finalmente trovato la persona giusta, che aveva battezzato “l’ultimo Shaman”. L’uomo sosteneva di aver letto tantissimi libri e l’aveva affascinata. Ma una volta era andato a trovarla, mentre lei era allettata con una brutta bronchite. Gli aveva chiesto di andarle a prendere un antibiotico molto efficace in farmacia ma lui, appena aveva sentito la richiesta, si era lanciato in un banalissimo sproloquio: «Farmacia, farmaco, veleno… anti bios, contro la vita… una trappola allopatica… Ti guarirò io, figlia della notte!!!» Aveva preso un prezioso recipiente tibetano, che Giuseppe Tucci in persona aveva regalato ai genitori di Gaia, e aveva messo a scaldare dell’acqua, cui aveva aggiunto miele d’acacia e varie spezie. Versato tutto nel vaso, con incedere sacrale era entrato nella stanza da letto. Per aumentare la propria ieraticità, aveva chiuso gli occhi ma era goffamente inciampato su una pesante scatola di biscotti, che si trovava vicino al letto. Il vaso tibetano era caduto in terra e si era rotto in mille pezzi. Gaia aveva chiamato il maggiordomo cinese, gridandogli: «Afferra questo cappone-cedrone, spingilo nella sua auto e controlla che esca il prima possibile! Se oppone resistenza, rompigli il polso destro!!!»
Un giorno, il maggiordomo cinese, che la sera andava a dormire in una casa vicina, si era ammalato gravemente ed era stato allora che Gaia aveva assunto la coppia giapponese, cui aveva fatto costruire una casetta stile Kyoto a trecento metri di distanza dalla villa, per la sua privacy, e aveva preso la coppia di alani – Prometeo e Pandora – per compagnia e sicurezza. Solo Rasputin aveva libero accesso a tutta la casa.
Quella notte Gaia ebbe degli incubi terribili. Prima sognò il padre, che camminava scalzo in mezzo a delle pozzanghere e spingeva un pesante carico. «Figlia, figlia, in vita ero molto ricco e potente… Di qua, sempre a spingere questa pesante carretta. Cambia vita, fammi dire delle Messe, aiuta i poveri!…» Poi sognò anche la madre, vestita di stracci, che stava nella rientranza di un vecchio muro ed era esposta a un vento gelido. «Mamma, ma tu eri una persona così mite…» «Non basta, figlia mia, non basta. Bisogna fare il bene… Ritorna a Dio, prega per me. Ti ho mandato una guida speciale, ho supplicato la Madonna… Ogni tanto dicevo un’Ave Maria».
La mattina seguente, Gaia chiamò un taxi e si fece portare vicino all’obelisco di piazza San Giovanni, a Roma. Cominciò a chiedere in giro, passando di negozio in negozio e di ristorante in ristorante, se conoscessero un certo Padre Atanasio, ma nessuno sembrava saperne qualcosa. Alla fine approdò ad un vecchio convento e si decise a chiedere informazioni anche là. Il portinaio la guardò e abbozzò un sorriso imbarazzato. «È un grande studioso, ma è molto riservato. Ha il citofono staccato e il suo telefono lo hanno in pochi». Gaia lo supplicò: «Per favore, veda se è in camera… La prego… Dica che c’è Gaia in portineria…» Il portinaio capì che la donna era davvero in difficoltà e salì personalmente in convento. «Padre Atanasio, c’è Gaia in portineria». «Grazie! Dille pure che tra qualche minuto scendo!» rispose lui.
Appena lo vide, Gaia si buttò in ginocchio e si mise a piangere come una bambina. «Mi aiuti, Padre mio, mi strappi fuori dal fuoco dell’inferno!…» Ricordava la giaculatoria che aveva sentito una volta durante la veglia per un defunto. «Padre, confesso tutti i miei peccati che non ricordo…» iniziò Gaia. Quando capì che la confessione non funzionava così, diventò rossa, pensando che avrebbe dovuto dire le colpe che aveva commesso. Padre Atanasio sorrise benevolo: «No problem, Gaia carissima. Questa si chiama confessione col forcone ovvero il riconoscimento di essere creature fragili. Col tempo seguirà la confessione con la scopa…» Gaia ebbe un sussulto. «Poi ancora la confessione con lo straccio e, infine, quella con la cera!» continuò il frate. Si alzò in piedi, le mise le mani sulla testa e la benedisse semplicemente ma con un infinito affetto. Lei pianse ancora di riconoscenza. «Professoressa Visconti, ora avrà nuovo materiale per le sue lezioni sui riti di purificazione nell’occidente contemporaneo. Dimenticavo! Per motivi di privacy, può sostituire alla scopa l’aspirapolvere!» «Padre Atanasio, lei è davvero uno Jedi…» «Vedrai che hai molte amiche nel lato oscuro che non me la faranno passare liscia, ma non prevarranno… Perché la Forza un potente alleato essa è…» aggiunse Padre Atanasio, con il suo consueto sorriso benevolo.
Padre Atanasio era consapevole che il cambiamento di Gaia non sarebbe passato inosservato. Infatti, a seguito di tre o quattro telefonate di gente importante si ritrovò, nel giro di poco tempo e senza alcun preavviso, vice-parroco in una parrocchia di estrema periferia, che però era vicinissima alla metropolitana A. Inoltre, la sua nuova casa era vicina anche al Grande Raccordo Anulare e questo gli permetteva di muoversi velocemente, potendo raggiungere, con una certa facilità, tutte le zone di Roma e del Lazio. L’ultimo anello della catena di comando, che lo aveva strappato dal convento in fretta e furia, senza neanche permettergli di portare via tutte le sue cose dalla stanza, aveva finto di esiliarlo, mentre invece lo aveva salvato da chi, oscuramente, stava per colpirlo.